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Paolo Rossi Castelli14 mag 20202 min read

Test del sangue per scoprire in anticipo il Parkinson?

La malattia di Parkinson ha, almeno in parte, un’origine autoimmune e i segnali dell’insorgenza di questa patologia potrebbero essere trovati con un forte anticipo, andando a cercare nel sangue proprio i “marcatori” dell’autoimmunità. Lo sostengono i ricercatori del La Jolla Institute for Immunology (California), che hanno pubblicato i risultati del loro lavoro sulla rivista Nature Communications. «Una diagnosi estremamente precoce potrebbe fare una grande differenza (nel trattamento della malattia, ndr)» – afferma Cecilia Lindestam Arlehamn, primo autore dello studio.
Il Parkinson, lo ricordiamo, ha una natura neurodegenerativa e porta al danneggiamento di alcune aree cerebrali, causando problemi motori, anche molto seri, e disturbi cognitivi. Un ruolo chiave nella malattia è attribuito all’alfa-sinucleina, una proteina che, in una forma alterata, si accumula in alcune zone del cervello (per motivi tuttora misteriosi) distruggendo con il passare del tempo i neuroni che producono la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei muscoli.

I ricercatori di La Jolla avevano già dimostrato nel 2017 che l’alfa-sinucleina può innescare reazioni autoimmuni da parte dei linfociti T (cellule fondamentali del sistema difensivo dell’organismo). In pratica, secondo gli studiosi, l’alfa-sinucleina, soprattutto quando si accumula, “attira” i linfociti T e li spinge ad attaccare per errore le cellule del cervello, contribuendo così alla progressione del Parkinson. Non è chiaro, però, se queste reazioni autoimmuni siano una causa scatenante della malattia, oppure peggiorino “soltanto” la degenerazione di neuroni già compromessi dall’accumulo di alfa-sinucleina.

Nell’ambito dello studio pubblicato su Nature Communications, i ricercatori americani sono andati a controllare la “cronologia” delle interazioni tra l’alfa-sinucleina e i linfociti T, e hanno dimostrato – analizzando il sangue di un ampio campione di malati – che esiste un’evoluzione temporale molto specifica in questo delicato rapporto. In particolare, gli studiosi hanno scoperto che i linfociti T “stimolati” per errore dall’alfa-sinucleina sono presenti in grande quantità molti anni prima della comparsa dei sintomi della malattia, e mostrano una grande reattività. Poi, con il passare del tempo, mentre la patologia fa il suo corso, questi linfociti diminuiscono sempre più, e alla fine scompaiono.

«L’individuazione dei linfociti T “reattivi” potrebbe aiutare nella diagnosi delle persone a rischio, o comunque durante le prime fasi dello sviluppo della malattia, quando molti dei sintomi non sono ancora stati rilevati» – ha spiegato Alessandro Sette, coordinatore dello studio. Ma non basta. Se si riuscissero a trovare i linfociti T anti alfa-sinucleina appena si formano, si potrebbe provare a neutralizzarli prima che accentuino la degenerazione delle cellule nervose.

Esistono già terapie per trattare le infiammazioni provocate dai linfociti T autoreattivi, e i pazienti che le utilizzano, per altre patologie, si sono rivelati meno esposti alla malattia di Parkinson. Anche questa può essere un’indiretta conferma delle tesi sostenute dagli studiosi californiani.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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