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The ligth side of the digital

Scritto da Giacinto Di Pietrantonio | 01 mar 2022

Continuando la nostra disamina relativa all’arte digitale, entrata ormai a pieno titolo nel dibattito sulle nuove forme di arte contemporanea, ci avviciniamo ad essa parlando di chi oggi sta compiendo con il suo lavoro una sorta di rito di passaggio tra le tecniche “tradizionali” e quelle “nuove” digitali.

Tra questi spicca per determinazione e precisione l’artista britannico Neil Mendoza con un’opera volta a coniugare i mondi dell’hardware del software, la meccanica e l’elettronica, il mondo fisico e il virtuale con delle opere dispositivo il cui centro poetico è quello della partecipazione del fruitore e dell’interrogarsi insieme a esse sul mondo in trasformazione.


La co-autorialità come centro dell’opera
L’approccio della co-autorialità non è ovviamente dei nostri giorni; già l’arte cinetica, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, aveva creato diverse opere che erano dispositivi meccanici attivabili dai fruitori. E non è un caso che tanti artisti che si occupano di arte digitale abbiano questo movimento tra i riferimenti.

La questione è cruciale, perché si passa non solo dal mondo dell’hardware a quello del software, ma da quello dell’artista inteso come genio romantico e creatore solitario a quello della creazione condivisa, insomma dall’uno al due e ai molti. In questo l’artista non è più solo, ma parte del mondo con cui fa comunità. Neil Mendoza fa ciò costruendo assurde sculture che vengono animate da appropriati sistemi elettronici: oggetti trovati, costruiti, acquistati, cose del quotidiano a cui l’artista riserva un diverso destino, spesso ironico e surreale. È proprio tale vena ironica, infatti, che lo ha portato a co-fondare il collettivo artistico “is this good?”

Si tratta di un nome che la dice lunga sul suo approccio, che al di là della proposta ironica e surreale pone domande molto concrete ed etiche, consapevole del fatto che l’etica, come per i greci del bello e del buono, è la madre dell’estetica e dunque dell’arte e delle verità di cui è alla ricerca.

Opere all’insegna dell’ironia e della didattica
Tuttavia, come accade per alcuni artisti, Mendoza arriva all’arte, e nel suo caso a quella digitale, passando per la progettazione di videogame, disegnando pubblicità, lavorando per la comunicazione e corporate identity di banche e altre aziende, finché un giorno si rende conto di poter lavorare liberamente per se stesso, utilizzando gli stessi strumenti per creare opere d’arte e porre domande a sé e agli altri.

È la ricerca di verità che non cerca da solo e infatti molte sue opere sono concepite con uno scopo altamente didattico che spesso si rivolge a bambini e studenti. Ne è un esempio l’opera Mechanical Materpieces, creata per il Museo dei Bambini di Pittsburg, dove una collezione e selezione di immagini di dipinti che vanno dal Rinascimento a oggi vengono animate girando delle manovelle, tirando delle corde, accendendo degli interruttori.

Oppure in Hamster Powered Hamster Drawing Machine, in cui un dispositivo meccanico per disegnare è azionato da un criceto e proprio per questo disegna un criceto. Insomma, si tratta di una macchina per autoritratti di criceti – sostiene l’artista – mostrando un’attenzione non solo a uomini e donne, ma anche alla natura.

Così come in Fish Hammer, in cui un pesce rosso aziona con i suoi movimenti un martello esterno all’acquario che distrugge mobili, sedie, divani, tavoli, letti, in miniatura. È anch’essa un’azione ironica, ma come racconta l’artista, “metafora di una sorta di piccola vendetta contro l’uomo che distrugge l’habitat animale.” E continua: “Faccio di questi problemi seri opere ironiche, sia per non essere troppo didattico e sia perché attraverso l’ironia si fissano molto più profondamente nella nostra psiche e nella nostra memoria.”

Difatti la sua opera si nutre in generale di imprevedibilità, casualità assurda, ma non per questo risulta essere meno intensa avendo come riferimento, è ancora l’artista a parlare: “i cartoni animati di Terry Gillian, o le trappole che Willy il Coyote costruisce per Road Runner, o i film dei Monty Python in cui la realtà viene distorta, resa surreale per poter, come facevano i surrealisti, meglio entrare nell’inconscio dell’umanità”.

L’intreccio tra fisico e virtuale
Ciò è ben evidente anche nell’opera Robotic Voice Activated Word Kicking Machine fruibile presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano in partnership con IBSA Foundation. Un’opera-dispositivo fisica e virtuale, in cui le parole da noi pronunciate in un imbuto vengono risucchiate e restituite visivamente su uno schermo, per essere poi prese a calci da un piede meccanico che manda il senso delle frasi all’aria come le parole in libertà dei futuristi.

Questo rende evidente che l’umanizzazione di tali processi e sistemi digitali è un’area matura per l’esplorazione artistica, e per ciò che Neil Mendoza con la sua opera vuole farci riflettere sull’uso del linguaggio vocale di cui oggi facciamo uso abbondate tramite i dispositivi elettronici – come Alexa, Google Home, Siri – in cui le cui parole, dice ancora l’artista: “Scompaiono in una sorta di buco nero, dove il mio metterle in relazione con una parte fisica, materiale è il volergli dare una vita oltre lo schermo.

E così che con la sua opera finisce per sostenere che “gli artisti devono avere un ruolo sul dove e come andrà a finire la tecnologia digitale” e con la loro opera luminosa aiutarci a tirarci fuori, come sempre, dal lato oscuro della tecnologia.

A cura di Giacinto Di Pietrantonio