A distanza di 10 anni dal primo intervento, seguito anche dalla fecondazione assistita, i medici svedesi (leader in questo settore a livello internazionale) tracciano un bilancio positivo. Restano però alcuni problemi etici.
Il 15 settembre del 2012 i chirurghi ginecologici del Sahlgrenska University Hospital di Göteborg, in Svezia, coordinati da Mats Brännström, hanno effettuato il primo trapianto di utero della loro storia (e uno dei primi al mondo), coronato da successo e seguito, nei mesi successivi, da altri otto interventi.
Nella maggior parte dei casi, le donatrici sono state le madri delle pazienti, in altri casi parenti strette o amiche. Le riceventi erano donne che, per patologie congenite o per un’isterectomia dovuta a un tumore, non avevano l’utero, o ne avevano uno disfunzionale.
Nella primavera del 2014 è nato, poi, il primo figlio di una di quelle donne che, dopo il trapianto, si erano sottoposte alla fecondazione in vitro, o IVF, e anche questa è stata una novità assoluta a livello internazionale. Nel frattempo, due delle pazienti operate avevano dovuto rinunciare al nuovo utero, che è stato asportato, per problemi di diversi tipo. Nelle altre sette donne, invece, le mestruazioni sono riprese circa due mesi dopo il trapianto. Questo è considerato un ottimo risultato.
Trapianto dell’utero e fecondazione in vitro: i risultati 10 anni dopo
A distanza di dieci anni, è il momento di un bilancio, per capire come stanno quelle donne, quante di loro sono diventate madri, e come stanno i loro bambini. Per questo gli specialisti coinvolti, che hanno continuato a monitorare attentamente le condizioni fisiche e psicologiche delle pazienti, hanno pubblicato, sulla rivista scientifica Fertility & Sterility quanto osservato, in uno dei rapporti più corposi mai stilati sull’argomento.
Tra le sette donne che hanno mantenuto l’utero, sei (pari all’86% del totale) si sono sottoposte a una IVF, sono rimaste incinte e hanno avuto uno o più figli; tra di loro, il tasso di successo della fecondazione per ciascun tentativo è stato del 33%, analogo a quello che si ha nelle donne non sottoposte a trapianto. Tre di loro hanno avuto due gemelli, portando quindi il numero di bambini nati a nove.
Secondo i medici svedesi, non ci sono stati problemi significativi per le donatrici, né dal punto di vista fisico né da quello psicologico: nessuna ha dovuto ricorrere a farmaci o terapie per l’umore (ad esempio per ansia o depressione), e lo stesso si è verificato tra le riceventi. Anzi, a distanza di quattro anni dal trapianto, la qualità di vita di tutte le donne coinvolte – sostengono i ricercatori – è risultata superiore alla media, probabilmente per la consapevolezza di aver recuperato una condizione che si pensava impossibile da vivere e, per quanto riguarda le donatrici, di essere state le artefici di ciò.
Anche i bambini, che continuano a essere seguiti, dopo due anni non mostravano alcuna anomalia rispetto a tutti i bambini di due anni. Questo ha fatto dire a Mats Brännström che l’esito dei trapianti è stato superiore alle aspettative.
Nuova tecnica robotica
Anche se si tratta di una piccola casistica, i dati e le informazioni raccolte sono cruciali e spesso inedite, visto che questi trapianti sono stati introdotti solo da pochi anni. Alla fine del 2021 le donne che avevano ricevuto un trapianto di utero nel mondo erano circa 90, diventate madri di una cinquantina di bambini. Venti di quegli interventi sono stati effettuati in Svezia che, dal 2017, ha adottato una nuova tecnica chirurgica robotica, in grado di consentire un intervento molto meno invasivo di quello tradizionale per la donatrice.
Il ruolo di leader della Svezia in questo approccio all’infertilità è confermato anche dal fatto che sono stati gli specialisti svedesi a istituire un registro internazionale, sotto l’egida dell’International Society of Uterus Transplantation (ISUTx), al fine di condividere tutti i dati e continuare a migliorare una tecnica che ha cambiato fortemente le prospettive delle donne che sono senza utero.
Perplessità in Svizzera
Al di fuori della Svezia restano, però, diverse perplessità, dal punto di vista etico, su questo tipo di procedura che è piuttosto complessa e costosa, e – a differenza degli altri trapianti – non viene eseguita per salvare una vita. La domanda che molti si pongono è quindi se sia giusto ricorrere a interventi così estremi per rendere possibile la gravidanza.
Vanno poi valutate le conseguenze sulle donatrici che, in alcuni casi, sono ancora in età fertile. C’è anche il problema dei farmaci anti-rigetto, necessari dopo il trapianto, che di norma non sono un trattamento auspicabile durante la gravidanza. La Commissione nazionale d'etica per la medicina (CNE), in Svizzera, ha espresso dubbi fin dal 2014 su questo tipo di tecnica.