I ricercatori dell’Università della Virginia hanno identificato 35 biomarcatori che, nel sangue dei bambini a rischio di morte improvvisa (SIDS), risultano alterati e possono dunque costituire un campanello d’allarme, ma anche aiutare a capire meglio i meccanismi biologici della sindrome della morte in culla.
Nuovi spiragli si aprono sulla possibilità di individuare tempestivamente i neonati a rischio della sindrome della morte in culla, o SIDS (dall’inglese Sudden Infant Death Syndrome). Sebbene rara e per molti aspetti misteriosa, in Paesi come gli Stati Uniti rappresenta tuttora una delle principali cause di morte tra i bambini nel primo anno di età.
I ricercatori dell’Università della Virginia, sede di Charlottesville, hanno infatti scoperto che nel sangue dei neonati esistono diversi metaboliti (cioè prodotti intermedi o finali del metabolismo) di vario tipo, le cui alterazioni sarebbero indicative di un importante aumento della probabilità di andare incontro a una SIDS. Questo test preventivo potrebbe quindi aiutare a identificare i bambini più esposti al rischio, consentendo l'adozione di interventi terapeutici mirati e un monitoraggio più attento.
Occhi puntati su 828 molecole
Come spiega la rivista scientifica eBioMedicine (gruppo Lancet) , i neonatologi sono partiti dai campioni di sangue di 300 bambini (195 dei quali deceduti per una SIDS), che erano stati raccolti nell’ambito di una ricerca chiamata Chicago Infant Mortality Study e documentati nella NeuroBioBank dei National Institutes of Health. Lo scopo era verificare l’andamento di 828 metaboliti, noti per essere coinvolti nella trasmissione degli stimoli nervosi, nella respirazione e nella risposta allo stress. Gli studiosi volevano capire se qualcuna di queste molecole fosse cambiata nelle piccole vittime, e in che modo. In effetti, i ricercatori hanno identificato 35 biomarcatori specifici, tra i quali diversi grassi, come le sfingomieline (già note perché svolgono un ruolo importante nello sviluppo del cervello e dell’apparato respiratorio), e l’aminoacido ornitina (cruciale per il corretto smaltimento dell’ammoniaca nelle urine), che risultavano alterati. Sono stati individuati, inoltre, quattro gruppi di metaboliti anch’essi potenzialmente utili, perché caratteristici dei bambini vittime di SIDS.
«La nostra indagine - ha spiegato Keith L. Keene, coautore dello studio - è la più ampia realizzata fino a oggi per tentare di rilevare come queste molecole nel sangue possano fungere da biomarcatori per la SIDS». Al momento sono in corso approfondimenti, con lo scopo di circoscrivere ulteriormente il campo e giungere a indicare pochi “marker”, che permettano di definire un test standardizzato. Questi studi potranno inoltre fornire informazioni molti utili sull’origine e suoi meccanismi biologici della SIDS.
Neonati solo apparentemente sani
La sindrome della morte in culla, lo ricordiamo, è - secondo la definizione ufficiale - la morte improvvisa e inaspettata di un neonato apparentemente sano, in genere durante il sonno, per la quale non si trova una causa specifica anche dopo un'indagine approfondita, che comprende l’autopsia. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi, i bambini che vengono colpiti dalla SIDS sono apparentemente sani, ma soffrono, in realtà, di piccole anomalie del sistema di regolazione dei ritmi cardiaci e respiratori, che durante le prime settimane di vita vanno incontro a ulteriori modifiche, in modo pericoloso.
Ad aggravare la situazione possono intervenire anche eventi esterni, come il fatto di dormire in posiziona prona (cioè sulla pancia).
Per tornare al test messo a punto dall’Università della Virginia, i ricercatori ribadiscono che saranno necessari nuovi studi per verificare se i “marcatori” individuati consentano davvero di indicare i neonati a rischio. Ma i risultati ottenuti rappresentano, comunque, una base importante per svelare i misteri della SIDS e attivare terapie in grado di salvare i neonati.
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