In questa memorabile TED Conference, il neuroscienziato Beau Lotto affronta un tema di grande rilevanza. Come sappiamo da secoli di scienza e filosofia, osservare “le cose come sono”, la realtà dinanzi a noi per ciò che realmente è, non è affatto semplice. Per secoli i filosofi hanno cercato di capire se ciò che vediamo corrisponde davvero a ciò che c’è “là fuori”. Le neuroscienze hanno la risposta: noi non vediamo la realtà.
Il nostro cervello non si è evoluto per guardare la realtà: solo il 10% delle connessioni neurali riguarda la visione; il restante 90% lavora senza sosta per dare un senso all’informazione proveniente dall’esterno. E “dare un senso”, in termini evolutivi, significa costruire un modello del mondo che consenta di sopravvivere e riprodursi al meglio. In pratica, costruiamo attivamente un mondo che ci appare reale perché ci è utile. Si tratta di un mondo che naturalmente ha una relazione con la realtà. Ma non è la realtà.
Come ipotizzava agli inizi del Settecento il filosofo Berkeley, non abbiamo alcun accesso diretto al nostro mondo fisico, se non attraverso i nostri sensi. Il cervello in realtà non si è evoluto per vedere il mondo come è. Si evoluto per vedere il mondo nel modo in cui è stato utile vederlo nelle passate esperienze. E il modo in cui vediamo è il prodotto di continue ridefinizioni di normalità.
Questo è un problema enorme, poiché significa che la stessa immagine potrebbe avere un numero infinito di possibili fonti nel mondo reale. Di per sé, l’informazione sensoriale, è priva di significato. Perché potrebbe significare letteralmente qualsiasi cosa. E ciò che è vero per l’informazione sensoriale, è vero per le informazioni in generale. Non c’è alcun significato intrinseco nelle informazioni. E ciò che facciamo con queste informazioni che importa.
Ma allora, come facciamo a vedere? Vediamo imparando a vedere. Così, il cervello ha evoluto i meccanismi per trovare nessi logici, cercare relazioni nelle informazioni, e associare queste relazioni a un significato comportamentale, un senso, interagendo con il mondo. Per esempio, Lotto ci spiega che quasi ogni sistema vivente ha sviluppato l’abilità di captare la luce in un modo o nell’ altro. Così, per noi, vedere un colore è tra le attività più semplici che il nostro cervello compie. E tuttavia, anche a questo livello essenziale, il contesto è tutto. E questo ci dice non solo perché vediamo ciò che vediamo, ma anche chi siamo come individui, e chi siamo come società.
Questo ci suggerisce che nessuno è un osservatore esterno della natura. Noi siamo determinati dal nostro ambiente e dalla nostra interazione con quell’ambiente, dalla nostra ecologia. E questa è ecologia necessariamente relativa, storica e empirica. La conclusione, allora, non può essere che un elogio dell’incertezza. Se il nostro cervello è una manifestazione della nostra storia evolutiva, possiamo cambiare modo di vedere, diventando consapevoli delle nostre percezioni e imparando a dubitare anche di quello che “vediamo con i nostri occhi”. Perché solo attraverso l’incertezza si crea il potenziale per comprendere.