Pochi ricordano quello che accadde in Brasile, nel 1975, quando con una mobilitazione senza precedenti venne realizzata a tempo di record una massiccia campagna di immunizzazione contro la meningite.
Vaccinare 80 milioni di persone in soli tre mesi: come dire, somministrare il vaccino a tutta la popolazione italiana, a quella svizzera e a quella austriaca, in un periodo così breve.
In piena epoca Covid, nonostante gli sforzi delle autorità, questo appare impossibile. Eppure, un’operazione del genere, 46 anni fa, è stata portata a termine davvero, nell’arco di poche settimane, con grandissimo successo, dall’altra parte dell’Oceano, in Brasile, contro la meningite da meningococco, arrivando a debellare la malattia (un’infezione delle meningi, cioè delle membrane che avvolgono il cervello e il midollo spinale). Ma pochi ricordano quello straordinario evento.
Forse vale la pena di recuperare questa vicenda, alla quale il quotidiano francese Le Monde ha dedicato un interessante articolo, tradotto e ripreso anche dalla rivista italiana Internazionale.
Dunque, la meningite da meningococco (un batterio): malattia pericolosa, che negli anni ’70 era diffusa massicciamente soprattutto in un’ampia zona dell’Africa, dal Senegal all’Etiopia (la cosiddetta cintura della meningite), con ondate epidemiche che uccidevano migliaia di bambini ogni anno, ma che di tanto in tanto colpiva duro anche in altri Paesi: quella volta, in Brasile, appunto. L’epidemia si era presentata all’inizio degli anni Settanta, ma nel 1975 aveva registrato fortissimi picchi, con decine di bambini che morivano ogni giorno. E proprio come accade adesso per il Covid, anche nel caso della meningite era comparsa una variante (chiamata africana di tipo A), molto più aggressiva rispetto a quella “classica”, che era rapidamente diventata dominante, senza possibilità di terapie efficaci.
Una richiesta improponibile
Da qui la decisione, coraggiosa e disperata, di mettere in campo una vaccinazione di massa, nel più breve tempo possibile, per prevenire l’infezione.
Come racconta Le Monde, il colosso farmaceutico Merck aveva sviluppato un vaccino contro il ceppo C del meningococco, ma la produzione avanzava con forti ritardi. Un altro vaccino, contro il ceppo A (quello più diffuso in Brasile, compresa la relativa variante), era stato messo a punto da una piccola azienda francese, l’Institut Mérieux (ora acquisita in parte da Sanofi Pasteur). La notizia dei buoni risultati di questo vaccino, certificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, aveva dato nuove speranze al ministro della salute brasiliano, il generale Paulo de Almeida Machado (in quel periodo il Brasile era governato da una dittatura militare).
Machado prese contatto con l’Institut Mérieux e fece una richiesta “improponibile”: produrre in brevissimo tempo 50 milioni di dosi. “L’azienda non aveva mai realizzato più di qualche centinaio di migliaia di dosi – scrive Nathaniel Herzberg, autrice dell’articolo di Le Monde. – In quel caso ne servivano, invece, due milioni entro un mese solo per le prime campagne sperimentali”. Poi, appunto, altre decine di milioni.
Rivoluzionata la produzione
Quello che sembrava impossibile – e che tuttora, ai tempi del Covid, appare irraggiungibile – si verificò, grazie a uno sforzo straordinario e grazie anche alla spinta etica dei dirigenti della Mérieux. La produzione venne velocemente riorganizzata, alcune lavorazioni affidate a laboratori esterni, le “macchine” necessarie per realizzare i vaccini iper-potenziate. Nel giro di poche settimane vennero consegnate le prime forniture dei vaccini, in una versione bivalente (cioè efficace sia contro il ceppo A che contro quello C), trasportate in aereo dalla Francia al Brasile, rispettando una rigida catena del freddo (i vaccini dovevano rimanere a -20 gradi centigradi, come capita anche adesso con alcuni tipi di vaccini anti-Covid).
La prima città a ottenere abbondanti dosi di vaccino fu Rio de Janeiro, dove 4 milioni di abitanti, su un totale di 4,8, ricevettero un’iniezione nell’arco di dodici giorni, in tempo prima del Carnevale, che nessuno avrebbe potuto azzerare (e che, senza vaccino, avrebbe generato un gravissimo effetto moltiplicatore dell’infezione). Poi si passò a San Paolo, con i suoi dieci milioni di abitanti. Per accelerare i tempi, i centri di vaccinazioni vennero organizzati a centinaia in ogni luogo possibile: scuole, chiese, stazioni ferroviarie, fermate dell’autobus, incroci stradali. Segno inconfondibile della presenza dei punti-vaccinazione, grandi palloni ondeggianti a diversi metri d’altezza, per essere visibili anche da lontano.
“Nel frattempo gli altoparlanti – scrive Herzberg – trasmettevano l’inno composto per l’occasione, una samba de vacinaçao”. Cinque giorni di tempo per vaccinare San Paolo (un record mai più uguagliato), poi il resto del Brasile: alla fine, 80 milioni di persone vaccinate (quindi più dei 50 milioni inizialmente previsti), su un totale di 110 milioni, in meno di tre mesi. L’epidemia sparì, e non tornò più.
Perché non è possibile replicare tutto questo anche oggi, con il Covid?
La situazione era molto diversa, certo, e anche le normative e i criteri di sicurezza. «Ma è anche vero che la Mérieux ha corso un rischio industriale enorme, guidata dalla preoccupazione per la salute pubblica – dice Baptiste Baylac-Paouly, storico della scienza. – Oggi non potrebbe succedere».