Trattamento sperimentale al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, utilizzando la tecnica di BioNTech. Metà dei 16 pazienti “arruolati” non ha più mostrato la malattia (una delle più difficili da curare) dopo 18 mesi.
Per il momento si tratta solo di dati preliminari, che richiederanno ancora molto tempo prima di poter essere trasformati in terapie per tutti i malati. Ma ciò che lasciano intravvedere i risultati ottenuti dagli oncologi del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York grazie a un nuovo trattamento personalizzato della BioNTech contro il carcinoma duttale pancreatico (uno dei tumori più difficili da curare) lascia ben sperare.
8 dei 16 pazienti curati con la nuova terapia hanno risposto in modo significativo e, dopo 18 mesi, erano ancora liberi dalla malattia (un risultato estremamente difficile da ottenere). Anche l’autorevole rivista scientifica Nature, in un articolo di commento, ha definito molto promettenti questi risultati. La BioNTech, lo ricordiamo, è l’azienda tedesca specializzata in vaccini a mRNA, che aveva formulato insieme a Pfizer quello contro il Covid. Il trattamento sperimentale contro il tumore del pancreas è stato invece realizzato in collaborazione con la Genentech, del gruppo Roche.
Come illustrato su Nature, gli oncologi dello Sloan Kettering hanno selezionato, appunto, 16 persone malate di carcinoma duttale pancreatico, con una probabilità di sopravvivenza a due anni di appena il 10%. I chirurghi hanno asportato i tumori, inviando poi i frammenti di ciascuna neoplasia ai laboratori della BioNTech, in Germania, a Magonza. Qui i tecnici hanno individuato ed estratto, con tecniche molto sofisticate, alcune proteine presenti solo sulla membrana esterna delle cellule tumorali, e non su quella delle cellule sane (in termine tecnico queste proteine vengono definite neo-antigeni).
Quindi, i ricercatori hanno realizzato un vaccino a mRNA personalizzato per ciascuno dei 16 malati che avevano partecipato allo studio, prendendo come “bersaglio” circa 20 neo-antigeni (diversi da paziente a paziente). Infine, gli oncologi newyorkesi hanno somministrato il vaccino personalizzato ai malati, insieme a una chemioterapia e a farmaci immunoterapici, per potenziare la risposta.
Dopo 18 mesi, metà dei pazienti aveva “prodotto” linfociti T (cellule fondamentali del sistema immunitario) specifici contro il tumore, senza più mostrare alcun segno di recidiva, perché l’organismo aveva imparato a difendersi, mentre l’altra metà, entro 13 mesi, si era nuovamente ammalata.
Non si sa esattamente perché alcuni pazienti abbiano risposto e altri no, ma si pensa che un ruolo possa averlo la milza, organo cruciale per la sintesi degli elementi del sistema immunitario. Cinque pazienti, fra quelli che non avevano mostrato effetti positivi, erano privi della milza (asportata in seguito a precedenti operazioni chirurgiche per arginare il tumore), mentre nel gruppo dei “responders” erano solo due quelli senza questo organo.
La sperimentazione lascia dunque diversi interrogativi senza risposta, ma mostra anche le potenzialità della vaccinazione a mRNA contro i tumori (con questa tecnica – già utilizzata, come dicevamo, contro il Covid – vengono introdotti nelle cellule dell’organismo frammenti di codice genetico che inducono la produzione di proteine bersaglio, per allenare il sistema immunitario a riconoscerle prontamente e a combatterle, quando poi le incontrerà veramente).
Si tratta di una cura complessa, personalizzata e quindi, per ora, costosissima, ma questi ostacoli potrebbero essere superati, nel tempo. Il messaggio più importante è che ora, anche per questi pazienti, c’è una speranza.