Un vaccino sperimentale, sviluppato dalla Cleveland Clinic, offre nuove speranze alle donne colpite dal tumore triplo negativo al seno: la forma di carcinoma mammario più difficile da curare.
C’è una speranza in più, per le donne colpite da un tumore alla mammella definito triplo negativo (in sigla TNBC), che costituisce il 10-15% di tutte le forme di cancro al seno. Questa tipologia di carcinoma si presenta più frequentemente nelle pazienti giovani (sotto i 50 anni) ed è nota come una delle più difficili da debellare.
La speranza arriva da un vaccino, sviluppato presso la Cleveland Clinic: un importante centro di studi biomedici negli Stati Uniti. Dopo lunghissime ricerche, il vaccino è stato testato, per la prima volta, su un piccolo gruppo di donne, con risultati che appaiono promettenti.
Che cos'è il tumore triplo negativo
Il termine triplo negativo si riferisce all’assenza di due particolari tipi di recettori (le proteine presenti sulla parete esterna delle cellule cancerose che “agganciano” gli estrogeni e il progesterone) e alla mancanza di una mutazione di un gene chiamato HER2, spesso rintracciabile, invece, nelle altre forme di cancro al seno.
Questi tre “elementi” (la mutazione HER2, più i recettori degli estrogeni e quelli del progesterone) sono i bersagli principali di molti tipi di farmaci attualmente a disposizione degli oncologi nella terapia del tumore della mammella. La loro tripla assenza rende molto più difficile, invece, “aggredire” il TNBC che tende, più degli altri, a dare recidive e a sviluppare resistenza.
Occhi puntati su una proteina dell’allattamento
In assenza, dei bersagli “classici”, il vaccino realizzato alla Cleveland Clinic prende di mira una proteina che è normalmente presente solo durante l’allattamento: l’alfa-lattoalbumina, prodotta dalla maggior parte dei tumori tripli negativi.
I ricercatori statunitensi hanno pensato di “allenare” il sistema immunitario, tramite il vaccino, a identificare questa molecola, per attivare una risposta efficace e rapida contro le cellule tumorali che la producono.
La preparazione del vaccino ha richiesto due decenni, e solo dopo una lunga serie di esperimenti sugli animali da laboratorio colpiti da tumori tripli negativi, è stato deciso di avviare i test anche su un piccolo gruppo di donne. In particolare, gli immunologi della Cleveland Clinic hanno selezionato 26 pazienti di tre diverse tipologie:
- donne che avevano completato le cure per un tumore triplo negativo ed erano prive di segni di recidiva, ma ad alto rischio;
- donne senza tumore che avevano scelto volontariamente di sottoporsi a una mastectomia bilaterale preventiva (cioè all’asportazione delle mammelle), essendo portatrici di mutazioni dei geni BRCA 1 o BRCA2, oppure del gene PALB2, tutte associate a un significativo aumento del rischio;
- donne che erano state sottoposte a una chemio-immunoterapia prima dell’intervento e poi alla mastectomia, e che successivamente erano state trattate con un anticorpo monoclonale chiamato pembrolizumab. Queste pazienti avevano ancora segni di tumore residuo nei loro tessuti, ed erano quindi a rischio molto elevato.
A tutte le partecipanti è stato somministrato il vaccino, per verificarne la tossicità e stabilirne i dosaggi migliori.
Come riferito durante il recente congresso della Society for Immunotherapy of Cancer e pubblicato sul Journal for Immunotherapy of Cancer, la sperimentazione ha portato a identificare le dosi ottimali nelle diverse situazioni, e a comprendere meglio le eventuali tossicità, come le reazioni nel sito di iniezione, le ulcerazioni o altri sintomi, che potranno così essere trattati tempestivamente, in caso si presentino. Ma, soprattutto, i test hanno dimostrato che il vaccino funziona, perché produce anticorpi specifici se compaiono le cellule tumorali che producono alfa-lattoalbumina.
Il 2025 segna una nuova fase della sperimentazione
Tutte le informazioni raccolte hanno costituito una valida base per procedere alla fase due, durante la quale si studieranno campioni di pazienti più ampi e si inizierà a verificare l’efficacia rispetto al tumore. Questa fase dovrebbe iniziare nel 2025 e avrà una durata di circa tre anni.
Se questa terapia confermerà la sua efficacia, verrà utilizzata soprattutto nelle donne ad alto rischio, come quelle con le varianti dei geni BRCA1 e BRCA2 (il caso più noto è quello dell’attrice Angelina Jolie), che rendono più probabile l’insorgenza di un tumore, anche in giovane età.