Come racconta in questa TED Conference il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, ovunque, e a qualsiasi latitudine, tra gli esseri umani c’è una maggioranza che predilige l’uso della mano destra, mentre solo una piccola minoranza è mancina.
La cosa interessante è che questo curioso e apparentemente inspiegabile fenomeno non è limitato ai soli esseri umani, ma è diffuso anche tra altri animali, come testimoniano molti esperimenti: quando si dà un tubetto di miele a uno scimpanzé, di solito lo tiene con la mano sinistra e cerca di estrarre il liquido usando la destra. Oppure pensiamo ai rospi: per togliersi del nastro adesivo dal muso, usano prevalentemente la zampa destra.
Sappiamo che la preferenza dell’uso della mano ha a che fare con il cervello: la parte destra controlla l’arto di sinistra e viceversa. E le due metà del sistema nervoso fanno cose diverse. Nella nostra specie, l’emisfero sinistro si occupa del linguaggio mentre al destro sono assegnati altri compiti (riconoscere le facce, orientarsi nello spazio…).
Questo – osserva Vallortigara – è un modo apparentemente molto strano di costruire un cervello. Ci devono essere state ragioni importanti perché i cervelli si costituissero in modo asimmetrico.
Alcune le conosciamo: per esempio, convogliando alcune funzioni tutte da una parte, si risparmia l’utilizzo di tessuto nervoso. Poi, in caso di importanti decisioni da prendere immediatamente, è essenziale che una metà del cervello assuma il controllo. Infine, l’asimmetricità offre la possibilità di svolgere due compiti simultaneamente.
Già, ma perché nel caso della mano destra e della mano sinistra esistono una maggioranza e una minoranza?
Anzitutto, studiando le soluzioni che rispondono meglio dal punto di vista dell’evoluzione, si scopre che quelle più stabili non sono né metà e metà (50-50) e neppure la totalità (il 100%), ma quelle dove c’è una maggioranza e una minoranza. Ma per rispondere a questa domanda, Vallortigara fa ricorso a quella branca della matematica che è la teoria dei giochi, secondo la quale: “quel che è meglio fare per un individuo, dipende da quello che fa la maggior parte degli individui del gruppo a cui appartiene”.
Questo principio come si applica nel nostro discorso? Semplice: i mancini hanno un vantaggio competitivo proprio perché sono pochi e stanno in un gruppo di “conformisti” che è più grande. E questa loro piccola “anomalia” fa bene a tutti, perché è funzionale a migliorare le risorse a disposizione della specie.